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La Kapala

L’uso di oggetti rituali legati alle numerose usanze e pratiche religiose è da sempre parte di tutte le culture, con le evidenti differenze dovute alle condizioni proprie di ogni singola popolazione.
Tipico dei gruppi nomadi che fin dall’antichità occuparono l’area della steppa euroasiatica è l’utilizzo del cranio, in sanscrito kapala ed in tibetano thod pa, teschio, prevalentemente umano ma non di rado di capra e scimmia.

Tale utensile a forma di coppa o tazza è caratteristica peculiare dell’Induismo Tantrico e del Buddhismo Vajrayana, cioè di quelle correnti che ricorrono ad un articolato complesso di insegnamenti di carattere iniziatico rivolti esclusivamente ad un ristretto gruppo di adepti.
Nella religione indù possiamo trovare diverse divinità che proprio nella simbologia tradizionale vengono raffigurate con kapala, solitamente nella mano sinistra, quella della saggezza: Chinnamasta, sposa di Shiva ed incarnazione del sacrificio di sé, comparata alla dea buddhista Vajayogini, beve il sangue da questo piccolo catino, così come altri importanti dei quali Durga, Kali e Shiva stesso -sia nel suo aspetto crudele di Bhairava, sia nelle sua corrispondenza buddhista dove assume le sembianze di Mahakala, il Grande Nero- nella loro iconografia vengono raffigurati con questa mistica tazza.

In entrambe le correnti religiose, nella pratica tantrica il teschio ha un eccezionale valore simbolico; se associato alle divinità, cioè raffigurato con esse, definisce la condizione dell’accettazione da parte di quest’ultima dell’offerta sacra, e quindi la possibilità del devoto di vedere accolte le sue preghiere; metafora dell’impermanenza, è sinonimo di saggezza, sacrificio di sé e grande rettitudine, comprendendo il concetto dell’Assoluto visto al di la di qualsiasi immagine di dualismo.
In Tibet, dove la tradizione della kapala è decisamente molto sentita ed a tutt’oggi ancora trasmessa, i teschi vengono scolpiti e decorati come delle vere e proprie opere d’arte, incisi ed intarsiati a bassorilievo, abbelliti con metalli pregiati quali oro ed argento ed ornati con pietre preziose, montati su piedistalli per poter essere esposti e per fare in modo non si rovinino.
La kapala poteva essere realizzata sia con il teschio completo sia anche solo con la parte superiore, cioè la calotta cranica, in ogni caso, prima di un qualsiasi uso, era necessario che tutto fosse consacrato.
I motivi più riprodotti sono, ovviamente, di origine sacra: Kalì, la dea dell’eterna energia, Shiva, creatore e distruttore, principio di tutte le cose, così come Ganesha, divinità amatissima e adorato per la sua capacità di far rimuovere ogni ostacolo, sono sicuramente le figure più rappresentate.

I teschi venivano reperiti dalle sepolture popolari, dove l’usanza di lasciare i morti all’aperto affinché il loro corpo venisse consumato dagli uccelli – consuetudine ora vietata ma da sempre attuata e chiamata elemosina per gli uccelli – riportava alle lontane memorie del culto degli antenati pre-buddhiste, legate anche alla pratica dei cacciatori di teste che così mostravano inequivocabilmente come sempre si dovesse tener presente la transitorietà della vita e come questo potesse essere motivo per non cadere in qualsiasi tentazione legata ai sensi; dal punto di vista religioso, tutto ciò si lega infine al concetto dell’ascesa dell’anima tesa a perpetuare un perenne reincarnarsi, in un continuo ed incessante reiterarsi.
Sicuramente, scavando a fondo, un ulteriore riscontro lo si trova negli antichi riti collegati ai sacrifici umani che venivano praticati normalmente in passato.

Prima di utilizzare il cranio, questo veniva immerso nell’acqua per rendere il tessuto osseo più malleabile e quindi lavorabile; inoltre, come riportato da vecchie scritture, il teschio doveva avere determinate caratteristiche per poter essere trasformato in kapala: pare che questi requisiti fossero otto, tra i quali la forma, il colore, la serie di segni – sia favorevoli che non – impressi sulla sua superficie come anche il numero di parti che lo componevano, non da ultimo e per questo meno importante la sensazione che esso emanava.
L’impiego di queste ciotole da elemosina, come vengono altresì chiamate, nei monasteri buddhisti tibetani è associata alla pratica simbolica dell’offerta per le divinità e quindi vengono adoperate per contenere figurine create con farina e burro, chiamate torma, a forma di lingua, occhi, orecchie, ecc… offerte appunto come sacrificio nei rituali tantrici.
A seconda del contenuto, il nome della ciotola cambia in ashrakapala se utilizzata per il sangue, mamsakapala se usata per la carne o cibo.
Non è importante sapere di chi sia il cranio dal quale poi si ricava la kapala, l’importante è che essi non siano stati rubati o acquistati in modo disonesto, questo comporterebbe un cattivo karma ed una cattiva sorte.
Bere comunque da esso ci metterebbe nella condizione di ottenere la conoscenza e di approfondire la personalità della persona alla quale il cranio apparteneva.
Oggigiorno, in Tibet la tradizione verbale della memoria dei riti tantrici e quindi di tutti quegli oggetti legati al medesimo culto buddhista, è ancora molto sentita e tramandata, soprattutto perché le nuove generazioni non perdano l’usanza ed il ricordo di tutto ciò che il passato ha generato e sempre considerato sacro ed intoccabile.
Inoltre, essendo diventato difficile potersi procurare i teschi, questi sono stati sostituiti da copie in bronzo, perfettamente riprodotte le quali vengono considerate alla stregua di un teschio autentico.

Simbolo della morte dell’io, il teschio può essere visto come un tramite, ponte e mediatore tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mezzo per rapportarci con le persone esistite prima di noi, permettendoci di conoscerne le qualità, i pregi ed i difetti e di intercettare tutta la forza karmica dello scomparso ancora presente e intensa nella kapala.